“Il fascino della Storia incontra la storia del rock” è stato scritto. Ma il connubio Rolling Stones più Circo Massimo è qualcosa che oltrepassa qualsiasi frase, aforisma, battuta, è un’esperienza che si colloca pervicacemente al di là di ogni vocabolario. “The greatest rock’n’roll band in the world” esiste ormai in una dimensione iconografica oltre lo spazio e il tempo ma domenica 22 giugno 2014 il contatto terreno con Roma è stato potente, magico, concreto, devastante e irripetibile, anticipato nel pre-concerto da un eccellente John Mayer. Forse le corse dei cavalli, i giochi e le gare che si svolgevano al Circo Massimo a partire dalla sua fondazione servivano solo a ingannare il tempo nell’attesa di questi protagonisti assoluti di una moderna epica sonora. Nessuno dei quattro settantenni finge un’artefatta giovinezza che non c’è più ed è proprio per questo che sul palco sembrano ragazzini alimentati a leggenda: Mick Jagger e le sue eterne movenze sincopate, il pirata Keith Richards, il solido Ronnie Wood e Charlie Watts, che pare un distinto signore passato a prendere gli altri monelli ed è invece il dominus della ritmica mitologica di “Satisfaction” o “Jumpin’ Jack Flash”. In estasi di fronte a questa liturgia laica sono in settantamila, anzi, più di settantamila (tra loro anche Sorrentino, Tornatore, Zucchero e Bennato), ci sono ragazzini e quelli che erano ragazzini negli anni Sessanta perché non esiste data di scadenza per “Gimme Shelter”, “Brown Sugar”, “Paint it Black”, “You cant’ always get what you want”, “Honky Tonk Woman” o “Sympathy for the Devil” perché è ormai chiaro che è il diavolo a simpatizzare con loro, non il contrario.